Boom di talassemie in Italia, soprattutto tra i migranti. Il rischio è non prenderla in tempo

L’anemia mediterranea, malattia rara ed ereditaria, ha visto negli ultimi anni in Italia un vertiginoso aumento dei pazienti soprattutto a causa dell’immigrazione. I migranti infatti fanno crescere i casi del 40%, portando i pazienti in cura da poco più di 4 mila a circa 7 mila.

Il problema maggiore, però, è che gli extracomunitari non conoscono i centri di cura sul territorio, quindi spesso arrivano al pronto soccorso quando ormai sono già in condizioni critiche.

A parlarne sono gli esperti, che oggi a Milano hanno aperto il VI congresso della Società italiana talassemie ed emoglobinopatie (Site), ospitato dall’Università degli Studi di Milano e dal Policlinico.

”La distribuzione nazionale dei malati extracomunitari con emoglobinopatie – spiega Lucia De Franceschi, professore di medicina interna all’Università di Verona – interessa le regioni del Nord per il 74,8%, in particolare Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria. Al Centro sono invece il 13,1%, e al Sud l’8,3%. C’è stato un significativo aumento (+40%) delle richieste di cure rispetto ai primi anni del 2000, in queste quattro Regioni del Nord”.

Uno dei maggiori problemi, aggiunge l’esperta, ”è che frequentemente il migrante non è a conoscenza dell’esistenza sul territorio di centri dedicati a queste patologie, per cui si rivolge spesso al pronto soccorso solo quando sta male”. Anzi, spesso arriva in ospedale quando ormai è troppo tardi: ”Un paziente con una crisi falcemica in atto – aggiunge Maria Domenica Cappellini, direttore di medicina interna del Policlinico – può morire anche entro poche ore, al pronto soccorso. Quindi il malato non può essere messo in codice bianco solo perché i medici non sanno riconoscere subito il problema: bisogna fare cultura sulla malattia”.

La ricerca di una terapia della talassemia, comunque, sta facendo passi avanti: solo due settimane fa è stato pubblicato su Science uno studio francese che applica la terapia genica per curare questa grave malattia su un primo paziente. Un traguardo che viene salutato con molta speranza, ma anche con molta cautela: ”Il passo fatto è grande – conclude Cappellini – ma la corsa non è finita e i possibili intoppi non sono prevedibili, e vanno affrontati di volta in volta con rigore scientifico. Spero personalmente di riuscire a vedere il traguardo”.

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